Se segui il nostro canale Youtube, saprai di certo che, mentre il lavoratore ha sempre la possibilità di dimettersi, il datore di lavoro è fortemente limitato nel licenziare i propri dipendenti, questo limite però viene meno in caso di insulti sui social network.
La Cassazione è recentemente intervenuta ritenendo che se un lavoratore insulta sui social network il proprio datore di lavoro, quest’ultimo potrà licenziarlo per giusta causa.
Ma andiamo per gradi.
Quando il datore può licenziare un lavoratore?
Il licenziamento del lavoratore può essere suddiviso in tre macro-categorie:
- Giusta causa
- Giustificato motivo soggettivo
- Giustificato motivo oggettivo
La giusta causa è un gravissimo comportamento del lavoratore, che non consente la prosecuzione, nemmeno momentanea, del rapporto di lavoro e giustifica, quindi, un licenziamento con effetto immediato, senza dover attendere il periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo.
Il giustificato motivo soggettivo è determinato da un grave inadempimento del lavoratore: in questo caso la gravità della condotta è meno grave rispetto alla giusta causa e, quindi, occorrerà rispettare il periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo, oppure erogare al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso.
Il giustificato motivo oggettivo, infine, non è la conseguenza di un grave inadempimento del dipendente ma, al contrario, deriva da ragioni tecniche, organizzative e produttive. In sostanza, si tratta di tutti quei casi in cui l’azienda pone in essere una riorganizzazione interna, che fa venire meno la necessità di quel determinato lavoratore.
Nel dettaglio: la giusta causa
Uno degli esempi più tipici di licenziamento per giusta causa è di certo l’insubordinazione.
Con la sentenza n. 27939 del 13.10.2021 la Cassazione ha sottolineato che la nozione di insubordinazione non possa limitarsi al rifiuto del lavoratore di adempiere alle disposizioni dei superiori, comprendendo anche “qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle disposizioni aziendali”.
Ecco il video dell’autrice che introduce l’ultima parte dell’articolo:
Attenzione agli insulti sui social network!
Oltre ad aver ampliato l’interpretazione dell’istituto dell’insubordinazione, la Corte di Cassazione è intervenuta anche su altri due punti di fondamentale importanza:
- Anzitutto ha stabilito che la pubblicazione di un post sul profilo personale di un soggetto è “di per sé fatto idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone” e non può ritenersi, dunque, mera libertà di espressione. Quindi non puoi profonderti in insulti sui social network: potrebbe costarti caro!
- È stato affermato anche che sussiste la responsabilità personale in capo al lavoratore a seguito dell’utilizzo scorretto degli strumenti informatici, quali i social network.
I nostri consigli
La società di oggi ci induce ad utilizzare i social anche per esternare le nostre emozioni… va da sé che, a seguito dell’intervento della Suprema Corte, se sei un lavoratore accetta un consiglio: respira profondamente prima di postare stati, storie, post, twit e quant’altro insultando il tuo responsabile, il tuo superiore, il tuo capo o l’azienda in cui operi, perché potrebbe costarti il posto!
FONTI:
- Cassazione n. 27939 del 13.10.2021
- Corte di Appello di Roma sentenza del 27.11.2018;
- 300/1970;
- Manuale del diritto del lavoro Del Giudice, Izzo, Solombrino Ed. Simone;
- Licenziamenti e tutela del lavoratore: profili sostanziali e processuali Ed. Admaiora.
Vedi anche il nostro video sul licenziamento per giusta causa e giustificato motivo